Due o tre cose su “Il vicino di casa”
Dalla pubblicazione de “Il vicino di casa”, mi è capitato spesso di parlare della genesi del romanzo. Per i più curiosi, ho riunito qui alcune informazioni. Per altri approfondimenti e notizie, non esitate a contattarmi sulla mia pagina Facebook!
L’idea del romanzo nasce alcuni anni fa. La versione iniziale credo non avesse neanche un nome, era uno dei tanti file “bozza”, “progetto”, “stesura” seguiti da un numero. I protagonisti erano i poliziotti: il commissario Amendola e il fidato vice Sau, il giovane Locatelli, il cinico e scanzonato Puppo, Gianfranco Masi, il capo della Mobile romana. Intorno alla Questura di Roma ruotavano le indagini su alcuni casi complicati: una serie di omicidi di studentesse universitarie, un tentato stupro dai contorni poco chiari, la scomparsa di un ragazzo. Insieme alle indagini veniva raccontata la storia personale degli investigatori, il rapporto di Amendola con la fidanzata Camilla, il single ma innamorato Sau, il tempestoso matrimonio di Puppo.
Da questo grande calderone che aumentava di volume di settimana in settimana – le pagine si accumulavano a un ritmo incredibile, c’era così tanto da raccontare – è emersa una storia. Una voce. Parafrasando un celebre film di Sergio Leone, quando un personaggio con una voce forte e unica incontra uno scrittore con una moltitudine di bozze, lo scrittore con le bozze è destinato a soccombere.
Dei poliziotti è rimasta la professione, ossia le indagini, e quasi tutta la vita personale è caduta sotto la scure dei tagli. Perché? Perché avrebbe necessitato di pagine che avrebbero rallentato la corsa della storia. Me la sono immaginata così: un treno direttissimo che facesse il minor numero possibile di fermate. Per dare più spazio a quella voce. Anche se era un sussurro in una stanza buia, un mormorio incessante in una mente a tratti ferita, a tratti crudele.
Così è nato “Il vicino di casa”.
Il genere. A quale genere appartiene questo romanzo? Giallo, thriller, noir? Non saprei individuarlo con esattezza. Non saprei nemmeno se è ancora opportuno parlare di generi. L’arte è contaminazione. Il genere giallo nasce nell’800 e ha il suo culmine nella prima metà del ‘900. Ma intanto, mentre il canone giunge alla sua maturazione, sono già sbocciati figli e figliastri: il noir americano, cioè il western preso dalle praterie e calato nelle città, Los Angeles su tutte, vera e propria giungla d’asfalto; il thriller – basti citare Hitchcock: in tante sue pellicole si sa quasi subito chi è il buono e chi il cattivo: tutto sta nel vedere chi prevarrà (e a quale prezzo).
“Il vicino di casa” è un giallo, perché segue da vicino le indagini di poliziotti testardi che perdono il sonno, che consumano le suole delle scarpe e le gomme della macchina pur di acciuffare il responsabile della morte delle studentesse.
È un thriller, perché segue da vicino, anzi, da dentro, la caccia posta in atto dall’assassino nei confronti delle sue inconsapevoli prede.
È un noir, perché offre un’immagine opaca della società, la guarda attraverso una lente che squarcia il velo delle apparenze e fa affiorare un mondo di violenze grandi e piccole.
È anche un’indagine psicologica, perché trovata una vena d’oro sarei stato un pazzo a smettere di scavare, anche quando scavare significava immergermi in un mondo buio, dove la speranza è un fiore che nasce già morto e l’amore è il simulacro perverso di quello che dovrebbe essere, un sentimento stupendo.
Per scrivere questo libro, ho letto molte storie di mostri. Storie così brutte che faticavo a considerare vere. Posso solo dire che al termine avevo una voglia incredibile di luce, di calore. Il freddo più intenso e pericoloso, quello che fa avvizzire i sentimenti e la speranza, spesso l’uomo se lo porta dentro.
Le ragazze. Perché prendersela con queste studentesse innocenti, che vogliono soltanto vivere la loro vita ed essere felici? Perché loro sono la vita. La incarnano, i loro sorrisi scaldano questo mondo. Sono loro, le vittime di chi crede di poter essere felice in un modo completamente distorto. Il romanzo è dedicato a tutte le donne che hanno subito violenza.
Altre due brevi considerazioni. La prima sullo stile, sul ritmo. È volutamente cinematografico. Ho rubato davvero tanto a questa meravigliosa arte. Al montaggio in particolare. La parte iniziale del romanzo è un montaggio alternato, quella finale un lungo piano sequenza…
La seconda considerazione riguarda l’originalità. Ho cercato di proporre qualcosa di nuovo, di diverso, ma senza strafare, senza cadere nella stravaganza; ci sono riuscito? Ai posteri l’ardua sentenza!
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