Gli assassini sono tutti bravi ragazzi
Gli assassini sono tutti bravi ragazzi racconta la storia di un omicidio, quello di Alessia Barbieri, e della lotta intrapresa da Emiliano, il suo migliore amico, un ragazzo testardo e complicato, affinché venga assicurato alla giustizia chi ha reciso il legame speciale che aveva con la ragazza.
La verità sulla morte di una ragazza, questo è ciò che chiede Emiliano. Alessia Barbieri, la sua migliore amica, è stata uccisa. L’indagine si mostra subito complicata, tra false piste e la mancanza di indizi certi. Un’indagine che rischia di avere mille sospettati e nessun colpevole. Nel frattempo la città, una Roma cupa e violenta, è scossa dalle terribili imprese di uno stupratore seriale.
Insieme a un giornalista e a un ispettore di polizia, Emiliano lotta perché venga fatta giustizia… ma intanto la cosa più difficile è accettare che Alessia non ci sia più.
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Gli assassini sono tutti bravi ragazzi (2010)
Cosa spinge un essere umano a togliere la vita a un altro essere umano? Una domanda alla quale non è semplice rispondere. Ogni vicenda è una storia a sé, ogni assassino e ogni vittima sono uniti da un legame unico, tragico. Generalizziamo nel tentativo di spiegare, di comprendere, ma non sempre raggiungiamo questo obiettivo. Conosciamo però il dolore, un carico che grava sulle spalle di chi rimane, di chi ha amato e ama ancora – soltanto che il destinatario dell’affetto non c’è più.
È questa assenza che mi sono proposto di indagare, il dolore che si accumula fino a trovare uno sfogo temporaneo, e poi torna ad accumularsi, tra i ricordi indelebili della persona perduta e la necessità di andare avanti. E se fosse chi rimane a essere “perduto”? È quello che succede al protagonista di questa storia, Emiliano. Emiliano non è un poliziotto, non è un magistrato, non è un giornalista: è solo il miglior amico di Alessia, una giovane ragazza che viene uccisa.
“Gli assassini sono tutti bravi ragazzi” nasce come riflessione su alcuni casi di cronaca nera. Leggendo di queste morti solo in apparenza semplici – persone normali con una vita normale – mi sono detto: giustizia dovrebbe essere fatta rapidamente. Ma le cose semplici ci mettono un attimo a complicarsi. A diventare, a volte, misteri insolubili. Ho immaginato questa storia per esorcizzarla, l’ho immaginata dal punto di vista di qualcuno che fosse coinvolto emotivamente ma che non avesse gli strumenti materiali per intervenire nel corso degli eventi (ma farà tutto il possibile perché la verità venga fuori). Non mi interessava tanto raccontare la classica procedura poliziesca, quanto, per così dire, la procedura emotiva. Porsi mille domande senza trovare risposta, cadere di continuo; eppure rialzarsi sempre.
Il poliziesco inizia con un cadavere e finisce con un colpevole che viene, quasi sempre, scoperto. Nonostante questo, il poliziesco non è mai una storia a lieto fine. Come potrebbe esserlo, considerato come comincia? La parola più adatta è compromesso, perché nulla di quanto può essere messo sul piatto della bilancia potrà equilibrare ciò che c’è dall’altra parte, una vita stroncata. (Una bella mazzata, lo so. Ma nel romanzo ci sono anche cose belle. Un amore, ad esempio).
Ricordo di aver scritto “Gli assassini sono tutti bravi ragazzi” in un periodo di tempo piuttosto breve. Due mesi circa. Ho in mente il numero 51, ma non so se sia reale – 51 giorni per la prima stesura – oppure se si tratti di un’invenzione bella e buona. Comunque è venuto fuori di getto e mi è piaciuto scriverlo. Che poi è la cosa più bella, per uno scrittore.
“Gli assassini sono tutti bravi ragazzi” ha partecipato all’edizione 2013 del concorso “Il mio esordio” promosso dal sito ilmiolibro.it, entrando tra i finalisti e ricevendo una valutazione da parte di Scuola Holden.
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